Il reddito di Pulcinella
Marcello Veneziani , La Verità – 14 settembre 2022
Come chiamare il voto che il sud d’Italia, a partire dalla Campania, si appresta a dare in favore del Movimento 5Stelle in virtù del reddito di cittadinanza? Voto clientelare di scambio. Come ai tempi della peggior Dc e dei suoi peggiori alleati. I clientes, ovvero i beneficiari della legge grillina, voteranno i loro benefattori, non solo e non tanto per gratitudine (nel qual caso, forse, più che a Conte dovrebbero essere grati a Di Maio), quanto per assicurarsi che quel reddito non verrà revocato, come invece minaccia il centro-destra. Voto di scambio non con singoli candidati ma con l’intero partito.
Penoso il sostegno del Pd a quella legge, peraltro varata dal governo grillino-leghista: è l’unica cosa davvero “di sinistra” che sono riusciti a dire, ma non l’hanno fatta loro.
E’ deprimente che il voto sia ancora ridotto come nelle peggiori tradizioni meridionali, e lo dico da meridionale, al favore ricevuto, al reddito parassitario elargito dal potere alla plebe. E’ un’offesa a chi si guadagna duramente da vivere attraverso il lavoro; è un’offesa al merito, agli studi, alle capacità, ai sacrifici; è un’offesa alla dignità umana, a partire da quella dei beneficiati.
Ma in alcune aree del sud, tra la Campania e la Sicilia, a partire da Napoli, i 5S di Conte possono addirittura essere il primo partito grazie al reddito di cittadinanza. Se è vero che, ad esempio, a Napoli, capitale del sud, il 15 per cento dei cittadini percepisce il reddito di cittadinanza, escludendo vecchi e bambini e includendo i congiunti dei beneficiati, un bacino abnorme potrebbe votare i 5 Stelle. Quando alcuni osservatori mesi fa annunciavano la scomparsa dei grillini, facevo osservare che col reddito di cittadinanza si sono assicurati uno zoccolo duro intorno al dieci per cento della popolazione, anche se candidano Pulcinella e sparano le peggiori sciocchezze.
Non a caso, per la prima volta nella storia della Repubblica, fa notare con rammarico Amedeo Laboccetta, la destra non prevede un comizio del suo leader a Napoli, nella capitale del Mezzogiorno. Come mai? Presumo perché Giorgia Meloni si è impegnata ad abolire il reddito di parassitanza, e a Napoli rischierebbe contestazioni veementi di piazza, se non peggio. Lo ha capito bene, da antico piazzista, Berlusconi che infatti non esclude il reddito di cittadinanza.
La cosa più difficile a farsi, in politica, è togliere qualcosa che appare come un diritto acquisito. Meglio pensare soluzioni più realistiche: innanzitutto fare un censimento per stabilire chi sono davvero gli aventi diritto, stringendo le maglie e i requisiti per averlo, con una revisione radicale di tutti i redditi finora percepiti, tra tanti falsi e abusivi fruitori; poi distinguendo tra quanti hanno reale, assoluta necessità e quanti, italiani e stranieri, invece ci marciano. Quindi vagliare se hanno avuto offerte di lavoro e non hanno accettato; poi va ribadita la provvisorietà del sussidio. Va infine studiata la riconversione dei rdc in lavori socialmente utili. Se percepisci un sussidio devi fare qualcosa per guadagnartelo. Ad esempio, come scrissi, riconvertire i fruitori del reddito nell’assistenza agli anziani; non sanitaria, per la quale si richiedono studi ed esperienze, ma per la prima assistenza non specialistica. Giustificherebbe il loro sussidio e aiuterebbe tanti anziani abbandonati a se stessi in casa e in solitudine. La stessa cosa si potrebbe prevedere a sostegno di altre situazioni, per es. baby sitter; o ausiliari dell’ambiente, per la pulizia delle strade. Tutto meno che ricevere gratis un reddito.
E’ vero che in alcuni paesi il reddito di cittadinanza ha funzionato, è stato concepito come un sostegno per il lavoro perduto e per trovarne un altro. Da noi no, purtroppo. Al di là delle inverosimili cifre sparate dai grillini che parlano di centinaia di migliaia di persone che, grazie al reddito, avrebbero trovato lavoro (ma davvero, ma dove, il 24% di giovani disoccupati si riferisce ai marziani?); fino al surreale annuncio che i famigerati navigators, disoccupati che avrebbero dovuto trovare lavoro ad altri disoccupati, avrebbero procurato addirittura 300mila posti di lavoro (lo diceva il vice di Conte, Riccardi, in un dibattito a Post del Tg2). Magari troveranno un Tridico, voluto dai grillini a capo dell’Inps, pronto a dar loro una mano sui dati; ma c’è un limite di evidenza e di decenza che non si può varcare. Provate a vedere a Napoli, capitale del reddito di cittadinanza, se riuscite a trovare una vaga traccia di questa ripresa del lavoro grazie al sussidio di stato…
Si sa, invece, che il reddito ha tolto lavoratori dal mercato del lavoro (magari lavoro sottopagato o malpagato, ne convengo, ma le aziende hanno difficoltà a trovare dipendenti per via del sussidio di stato) o li ha fatti rientrare nel lavoro nero per integrare il reddito percepito dallo stato. Non si può negare lo sfruttamento con salari da fame da parte di alcune imprese né l’effettiva povertà di taluni fruitori. Ma il reddito di cittadinanza non è la soluzione, rinvia il problema, non attiva il mercato del lavoro, non funziona per reintegrare nel lavoro chi lo ha perso, succhia soldi pubblici e sottrae investimenti che potrebbero rilanciare il mondo del lavoro; ed è profondamente immorale, diseducativo, anti-etico.
A questo punto, meglio andare fino in fondo e sostenere paradossalmente, come faceva cent’anni fa il filosofo Giuseppe Rensi nel saggio Contro il lavoro, che gli uomini non devono rivendicare il diritto al lavoro, che è schiavitù e sfruttamento, ma il diritto al non lavoro; perché all’uomo si addice il gioco e la contemplazione. Correggendo l’antico proverbio, il lavoro debilita l’uomo. Asserve e rende infelici. Poi, come possa reggere e campare una società del non lavoro, chiedetelo ai grillini o a Pulcinella.
La Verità – 14 settembre 2022