Seduta del 19 Maggio 1978
Le Brigate rosse hanno fatto ritrovare il corpo senza vita di Aldo Moro. Si è chiuso così un drammatico periodo nella storia della Repubblica italiana, fra i partiti la tensione è salita alle stelle, ci si rinfacciano vicendevolmente dubbi e certezze, apprensioni e sicurezze, silenzi e iniziative. Il dibattito alla Camera vede il Msi-Dn schierato in difesa dello Stato, che non può abdicare nella lotta al terrorismo. Almirante chiede misure concrete, il regime non risponde. La catena di lutti non cesserà: il terrorismo continuerà a colpire per altri anni ancora, l’assassinio di Moro sembra dar nuovo coraggio alle bande armate dell’ultrasinistra che credono possibile la «rivoluzione comunista».
L’assassinio del presidente della Dc
ALMIRANTE: “Signor Presidente, onorevoli colleghi, onorevole Presidente del Consiglio, prima di tutto desidero ringraziare i colleghi del mio gruppo onorevole Franchi, onorevole Trantino, onorevole Vito Miceli per i loro interventi, così penetranti, così vasti, soprattutto così coraggiosi e responsabili, che rendono questo mio intervento conclusivo, a questo punto della discussione (salvo, ovviamente, le dichiarazioni di voto), puramente integrativo e complementare di quanto il mio gruppo ha già detto. A proposito dei precedenti interventi e riferendomi, in particolare, all’accorato intervento dell’onorevole Franchi, onorevole Presidente del Consiglio, mi studiavo stamane di trovare il modo di tornare sull’argomento relativo al suo comportamento di ieri, al tipo di discorso che ella ha ritenuto di voler scegliere, quando mi è venuto incontro l’Avanti! di oggi, il quale rileva che ella si è comportato in modo tale che il Governo appare, quanto alla lotta contro il terrorismo, come senza carta di navigazione, senza bussola e senza timone. Io non avrei potuto dir di più. Prendo atto che, dopo e malgrado il vertice che ha preceduto questo dibattito, permangono nella maggioranza governativa più che ombre, più che sospetti; permangono dei dissensi estremamente pesanti, che danno luogo a giudizi ancora più pesanti, formalmente e forse sostanzialmente, di quelli che avrei potuto permettermi io, onorevole Presidente del Consiglio, nei suoi confronti. Quando si dice, infatti, che questo Governo è senza carta di navigazione, si vuol dire, evidentemente, che non ha un programma in tema di lotta contro il terrorismo, si vuole evidentemente evidenziare che ella ieri non ha parlato come Presidente del Consiglio e come ministro dell’Interno ad interim, come avrebbe potuto e dovuto, ma come Presidente del Consiglio ad interini. Questa è la sola definizione credo corretta e garbata, ma penetrante che posso dare del suo comportamento di ieri, che vogliamo tutti sperare (ritengo di poterlo dire a nome di tutti i colleghi, al di là e al di sopra delle parti) possa essere corretto dal suo atteggiamento di oggi. Ci auguriamo una replica molto diversa e molto più responsabile, quali che siano le tesi che ella vorrà sostenere, di quanto non sia stato il suo discorso di ieri.
Parlo di questo argomento anche e soprattutto per chiarire il compito ed il comportamento dell’opposizione da noi rappresentata in Parlamento, di fronte all’evidente tentativo, che si sta ripetendo di giorno in giorno in Commissione e in aula, da parte della maggioranza del 95 per cento e (talora, soprattutto) da parte del Governo, di tappare la bocca al Parlamento, o comunque di rendere sempre meno responsabili, sempre meno rilevanti i dibattiti parlamentari, anche quando il tema sia di tanta importanza. Ci siamo sentiti, dai banchi comunisti, delle dure reprimende, l’altro giorno, delle minacce, una specie di «quos ego» da parte dell’onorevole Natta, a proposito del sabotaggio e l’, Unità, se non erro, questo termine ha usato che l’opposizione, in particolare la nostra opposizione (d’altronde, non in particolare, ma la nostra opposizione), condurrebbe ai danni del Parlamento. Ora, signor Presidente della Camera, il sabotaggio è questo: un discorso di sabotaggio è stato il discorso di ieri dell’onorevole Andreotti; comportamento di sabotaggio e di diserzione è quello dei leaders della maggioranza i quali, se «radiofante» si informa bene, non partecipano in prima persona a questo dibattito; sabotaggio, infine, è il fatto che, mentre si discute delle dimissioni del ministro dell’Interno, cioè di un episodio di primaria importanza, inusitato, inconsueto, significante, che non può non interessare (ed interessa) i destini di tutti gli italiani, dal dibattito in corso emerge l’irresponsabilità del Parlamento in genere, dovuta non certamente alla opposizione ma, ripeto, all’atteggiamento di diserzione (che è molto più che sabotaggio) dei leaders della maggioranza, di tutta la maggioranza e dello stesso Governo.
Questo atteggiamento è così evidente, e così sconcertante, e così sconfortante che, lo voglio confessare, discutevamo noi stessi, tra noi, se valesse la pena di prendere parte in maniera impegnata a questo dibattito. È bene che il Presidente della Camera sappia dalla nostra correttezza e dalla nostra lealtà che quanto più si tenterà, in aula e in Commissione e a tutti i livelli, di sabotare il Parlamento nelle sue responsabilità, tanto più noi ci impegneremo, non per contrapporre sabotaggio a sabotaggio, ma per fare il nostro dovere, visto che non stanno facendo il loro dovere, ostentatamente, né il Presidente del Consiglio, né i suoi colleghi di Governo, né i leaders ed i capi della maggioranza del 95 per cento. Questo anche perché, signor Presidente del Consiglio, l’ex ministro dell’Interno, nella sua lettera di dimissioni tanto esaltata ed elogiata, ma, mi pare, non sufficientemente meditata nei suoi passi più importanti, aveva reclamato, preannunziato e, direi, addirittura introdotto un dibattito parlamentare sulle sue dimissioni. A me pare che sia molto scorretto prendere atto e dare atto della correttezza dell’onorevole Cossiga (oh, finalmente un ministro che si dimette!) e poi non discutere delle sue dimissioni. Infatti non se ne sta discutendo da parte della maggioranza. In attesa del nuovo ministro dell’Interno non si sta, ripeto, discutendo delle dimissioni del precedente ministro dell’Interno, il quale nella sua lettera ha scritto: «Per questo rinnovato impegno e per questa nuova consapevolezza, il Parlamento nazionale ha il diritto ed il dovere di controllare quanto è stato fatto e di esprimere il suo meditato giudizio anche al fine di adottare le determinazioni di competenza».
Ecco, commentiamo tra noi questo passo della lettera tanto decantata, ma anche tanto ignorata, dell’onorevole Cossiga. Egli correttamente dice che il Parlamento ha il dovere, prima di tutto, ed il diritto di controllare quanto è stato fatto. Ma di questo diritto-dovere, il Presidente del Consiglio ieri ci ha spogliato ed espropriato; infatti, ha rifiutato di dire quanto è stato fatto. Ha detto: ciò che è stato fatto, in parte lo avete imparato dai giornali, e accontentatevi, in parte non ve lo posso dire perché ritengo di non doverlo dire. Di conseguenza noi non abbiamo alcuna possibilità, in questo momento, da parte del Presidente del Consiglio, se non ci aiutassero le indiscrezioni giornalistiche, di controllare quanto è stato fatto. Non abbiamo, d’altra parte, la possibilità di concorrere ad adottare le determinazioni di competenza perché il Presidente del Consiglio ci ha detto che, in attesa del nuovo ministro dell’Interno, non intendeva riferire sugli orientamenti relativi alle nuove disposizioni; pertanto, facciamo sulla pelle di sei morti e dello Stato italiano agonizzante un dibattito accademico. Tutto questo è ignobile! Chiedo scusa se mi è sfuggito un aggettivo che può essere considerato eccessivo, ma rimane il fatto che si tratta di una cosa ignobile. Non so come si possa definire diversamente, in termini di correttezza politica, un atteggiamento di questo genere, il quale non è ignobile nei confronti dell’opposizione! Infatti, se io fossi alla testa di una opposizione eversiva o puramente negativa e demolitrice, io dovrei accogliere con soddisfazione e registrare questi atteggiamenti di diserzione, di irresponsabilità da parte della maggioranza del 95 per cento. Ma siccome ho la fortuna e l’onore, non certamente il merito, di essere alla testa di una opposizione nazionale responsabile, io sono angosciato molto più di voi per il comportamento del Presidente del Consiglio, del Governo e di tutti i leaders della maggioranza, nessuno escluso. Inoltre sono angosciato, soprattutto, perché, signor Presidente del Consiglio, le dimissioni dell’onorevole Cossiga (e non vi fate illusioni!), dopo quanto è accaduto, riaprono tutto il discorso che da molti anni si sta facendo, in guise sbagliate o provocatorie, sul grande tema che non è più nemmeno quello dell’ordine pubblico, ma che è il tema della sicurezza dello Stato e della sicurezza del cittadino nello Stato. Tutto il discorso sulla strategia della tensione sulle sue responsabilità, sull’episodio di Genova del 1960, che si è trascinato per diciotto anni con grosso spargimento di sangue e progressiva insicurezza delle istituzioni sin quasi al crollo agonizzante delle medesime: tutto questo discorso dovrete farlo!
L’onorevole Costamagna ha fatto dichiarazioni (non dico rivelazioni) sconcertanti; infatti non ha rivelato cose che già non si sapessero. Comunque, sono sensazionali, le sue rivelazioni, perché provenienti da quei banchi, a proposito delle origini delle Brigate rosse (origini umane, dottrinarie ed ideologiche), delle responsabilità di coloro che hanno messo in piedi talune facoltà di sociologia, da Trento, da Padova fino a Cosenza. Signor Presidente del Consiglio, signor Presidente della Camera, rispettosamente questo discorso ci riguarda perché, non a caso, la facoltà di sociologia di Trento ricorda uno degli episodi più dolorosi della nostra vita di partito e di comunità umana: il sequestro di un nostro deputato regionale, l’onorevole Mitolo. Un corteo sovversivo, per le vie di Trento, fu protetto dalla municipalità per tutta la sua durata di cinque ore, con ludibrio non solo di quello che siamo ancora abituati a denominare rispetto della legge e libertà, ma anche dei successivi processi, che si sono svolti in seguito a quell’evento; essi hanno visto non soltanto assolti o quasi del tutto prosciolti i criminali sovversivi, ma hanno registrato anche tutta una montatura di stampa e propaganda di partiti e sindacati in favore dei sovversivi, che stanno poi all’origine delle Brigate rosse, come l’onorevole Costamagna ha ricordato ed in parte documentato. A tale montatura (senza saperlo, evidentemente: non parlo di responsabilità vostre personali, ma di responsabilità politiche di settore) avete concorso tutti, dall’estrema sinistra all’intera Democrazia cristiana! Quando si parla di attività iniziali e successive delle Brigate rosse, lo specialista comunista in materia d’ordine pubblico, l’onorevole Pecchioli, in una intervista rilasciata in questi giorni alla Gazzetta del Popolo, dichiara: «Sì, l’estrema destra è stata risparmiata dalle Brigate rosse. Mi pare che abbiano aggredito un usciere, una volta, a Padova».
Onorevoli colleghi, signor Presidente del Consiglio e signor Presidente della Camera: io non rivendico mica dei primati a questo riguardo, sarebbe di pessimo gusto. Vorrei proprio non dover dire quello che sto per ricordare: purtroppo, il primo sequestrato dalle Brigate rosse fu un nostro iscritto, Bruno Labate di Torino, sindacalista alla FIAT- Mirafiori. Purtroppo, i primi due assassinati dalle Brigate rosse sono stati due nostri iscritti, uccisi con colpi d’arma da fuoco alla nuca, nella nostra sede di Padova il 17 giugno 1974. Mi consentirete di soffermarmi un momento su questo episodio che ebbe un’eco in Parlamento, perché ne parlai. Se non vado errato, era ministro dell’Interno l’onorevole Taviani. Signor Presidente del Consiglio, ne parlai riferendomi alle Brigate rosse perché queste, in quell’epoca (giugno-luglio 1974, non preistoria!), pubblicavano un loro giornale ufficiale, intitolato Controinformazione, con tanto di autorizzazione e registrazione presso il tribunale di Milano. L’indirizzo della redazione figurava nella testata.
Signor Presidente del Consiglio, signor Presidente della Camera: ella non presiedeva allora la Camera, ma c’era un Presidente; vi erano stenografi che hanno qui registrato quello che sto per ripetere. Esisteva, allora, un giornale ufficiale mensile delle Brigate rosse che si chiamava Controinformazione, che era regolarmente registrato presso il tribunale di Milano, con l’indirizzo nella testata: corso di porta Ticinese n. 86, Milano, e con un numero telefonico che io controllai personalmente prima di venire alla Camera a parlare. Nel numero di luglio dico luglio 1974 il mensile ufficiale delle Brigate rosse si riferiva al duplice delitto di Padova, in cui furono assassinati due nostri iscritti Giralucci, un ragazzo di 23 anni, e Mazzola, un pensionato, che faceva l’usciere presso la nostra federazione, di oltre 70 anni ó rivendicando l’episodio, pur dicendo che le Brigate rosse si attribuivano «ideologicamente» quel delitto (era giusto perché si trattava di due fascisti che dovevano essere assassinati; «eliminati»: questo è il termine esatto) ma ritenevano che ci fosse stato un incidente di esecuzione, perché lo scopo era quello di portare via i documenti dalla sede di Padova, in un’ora nella quale si riteneva che non vi fosse alcuno. Sicché, «poverini», essendo dovuti andare a viso scoperto come al solito avevano dovuto eseguire una improvvisata, ma per altro rivendicata e non condannata da quel giornale, esecuzione nei confronti del Mazzola e del Giralucci. Siccome si trattava di due assassinati di destra, non fu convocato il Parlamento in seduta straordinaria e nessuno pensò sulla stampa di dar luogo a mobilitazioni di opinione, come giustamente è avvenuto successivamente, per altri morti in divisa o in borghese. Siccome si trattava di due missini, si arrivò addirittura a tentativi di inquinamento delle prove, che pur erano evidentissime, da pare della magistratura di Padova, di certa magistratura di Padova che è responsabile in primissima linea di tutto ciò che allora, e anche successivamente e recentissimamente, è accaduto in quella città. La stampa di regime registrò ampiamente gli inquinamenti o i tentativi di inquinamento delle prove. Io venni in Parlamento dopo avere usato il numero telefonico del mensile delle Brigate rosse, perché volli compiere un piccolo controllo personale; e lo feci, registrando la telefonata in partenza dal numero di telefono della sede del partito che ho l’onore di dirigere. Certamente non qualificandomi chiesi al telefono se quello fosse il giornale delle Brigate rosse. Dall’altra parte del telefono mi rispose quel tale Bellavista, che in questo momento è a Parigi, vive tranquillamente con i soldi dei riscatti e se ne frega scusate il termine della Repubblica italiana e della maestà delle sue leggi, perché è stata rifiutata la sua estradizione, dato che è un «combattente» o, meglio, un criminale politico. Ebbene il Bellavista, capo redattore allora del mensile ufficiale delle Brigate rosse, mi rispose al telefono; io gli chiesi: «È il mensile delle Brigate rosse?», egli mi rispose: «Certamente»; gli domandi ancora: «Continuerete a pubblicare questo mensile che mi piace tanto, che dice cose tanto interessanti, sebbene voi addirittura rivendichiate degli atti di guerra o dei delitti?». Egli rispose: «Ma certamente». Gli chiesi: «Avete noie con le autorità?», «Nessuna noia, il nostro giornale è regolarmente autorizzato. Stiamo procurandoci la carta patinata Per il prossimo numero e questa è la sola difficoltà che abbiamo».
Venni in Parlamento, era seduto sui banchi del Governo l’onorevole Paolo Emilio Taviani, assertore non degli opposti estremisti, ma solo del pericolo che veniva da destra e sostenitore della tesi secondo cui a sinistra c’erano solo dei ragazzi un pò deviati, insubordinati o meglio vivaci: era questa la parola più dura che l’onorevole Taviani era abituato a pronunciare contro i criminali della sinistra extraparlamentare. Io esposi allora quello che sto dicendo, avendo nella nostra collettività umana il sangue ancora caldo versato da due morti. Eravamo stati ai funerali, in Padova, il 18 giugno del 1974, e non c’erano state onoranze di Stato, né alcuna potenza, naturale o soprannaturale, era intervenuta per benedire quei poveri morti, perché erano morti di destra, o fascisti, chiamateli come volete. La mia fu una arringa appassionata e inutile, come probabilmente inutile sarà nei vostri confronti, non nei confronti della pubblica opinione! anche la modestissima arringa che sto pronunziando in questo momento. Ma queste sono cose serie e gravi: non ci si può battere il petto perché è morto qualcuno, senza battersi il petto perché è morto qualcun altro; non si può continuare a distinguere e discriminare non più soltanto tra i vivi, ma tra i morti; ma, soprattutto, non si può non riaprire tutto il discorso delle responsabilità: il mio è un j ‘accuse! di fronte ad un’aula distratta e semivuota, ad un Presidente del Consiglio il quale ha dimostrato, politicamente parlando, indifferenza e cinismo come neppure osavamo permetterci di immaginare.
Si riapre però tutto il discorso: si riapre il discorso di Genova 1960; si riapre, colleghi comunisti, il discorso sul signor Lazagna, vostro esponente ed ispiratore fin dal 1960 di tutto quello che a Genova, e da Genova a Torino, si è organizzato e tramato. È venuto «frate mitra» a raccontare qualcosa in Italia, con grande coraggio e con enorme viltà da parte di chi lo ha costretto a esibirsi, a mostrarsi, e così a correre pericoli che non avrebbe dovuto correre; e, guarda caso, i magistrati lo hanno pregato di fare un salto a Padova, dopo Torino, per riandare alle origini, o a una delle origini del fenomeno Brigate rosse, per intrattenersi con quei magistrati, per sapere qualche cosa, se possibile, del caso Mazzola – Giralucci, dei nostri due assassinati nella federazione di Padova. Ma, signor Presidente del Consiglio, perché non torniamo a Genova, allora, dove, ad opera degli stessi criminali, il 18 aprile del 1970, accanto a me, fu assassinato il nostro operaio trentatreenne Ugo Venturini? Perché non si viene a Roma per chiederci chi abbia assassinato il ragazzino Mario Zicchieri? Io in piazza ho fatto il nome lo ripeto qui del sicuro mandante del delitto Zicchieri, un ragazzino di 16 anni e mezzo, assassinato a Roma mentre entrava in una nostra sede al Prenestino. Ho fatto il nome, e lo rifaccio; non ho alcuna paura, per carità; mi vergognerei se l’avessi. Ho fatto il nome del Pifano, il capo del «collettivo» di via dei Volsci. Andate a studiarvi le inchieste che sono state compiute a proposito del «collettivo» di via dei Volsci; chiedetevi perché un magistrato abbia proposto che tutto fosse archiviato, perché si trattava di un circolo culturale; chiedetevi perché, qualche settimana dopo, quel magistrato si sia suicidato; chiedetevi perché, anche di recente, il Pifano abbia goduto di incredibili tolleranze da parte della magistratura romana; chiedetevi se sia vero che la sede di via dei Volsci sia stata chiusa e sigillata, oppure se quel collettivo non continui a funzionare; chiedetevi se, essendo stati assassinati il 7 gennaio tre nostri ragazzi, non sia vero che il 9 di gennaio di quest’anno, nell’aula magna della mia vecchia, cara facoltà di lettere, non si sia riunito un collettivo del cosiddetto «Contropotere territoriale» (altra organizzazione che fa capo all’insieme di quelle eversive, che poi hanno il loro cervello, la loro guida nelle Brigate rosse); documentatevi, per cortesia, ci sono perfino le registrazioni, che noi inutilmente abbiamo messo a disposizione delle autorità, da cui risulta che quel collettivo, il 9 gennaio in quell’aula magna, ha rivendicato il triplice delitto di due giorni prima, senza maschere, con nomi e cognomi non dico degli esecutori ma certamente dei complici e senza alcun dubbio dei mandanti. Chiedetevi perché, a seguito di tutto ciò, la questura di Roma e il Ministero dell’interno non abbiano mosso un dito. Chiedetevi se è vero anche se sembra incredibile che dopo quel triplice delitto era carne venduta, di destra, fascista, chiamatela come volete, ma erano tre ragazzini, il più vecchio aveva 23 anni e il più giovane 17 non vi è stato un fermo, una perquisizione, un’indagine! Chiedetevi il perché di tutto questo. Non sfuggite perché non sfuggirete alla riapertura di tutto il vasto discorso sulla «strategia della tensione» e sulle sue responsabilità. Per questo mi sarebbe piaciuto che il dibattito sulle dimissioni dell’onorevole Cossiga si fosse svolto responsabilmente in un’aula piena, con l’onorevole Cossiga presente e con un Governo in diverso atteggiamento. Perché, è vero, l’onorevole Cossiga è stato correttissimo per carità, se ne è andato, finalmente un ministro che se ne va ma è anche vero che il 16 marzo in quest’aula io fui il solo a chiedere le immediate dimissioni dell’onorevole Cossiga. Le chiesi per motivi politici e non personali. Ho il dovere di non manifestare risentimento verso alcuno e non manifesto risentimento personale verso nessuno, neanche nei confronti dell’onorevole Cossiga, come nei confronti del suo sciagurato predecessore, onorevole Taviani, ma ne stiamo discutendo politicamente. E allora, ricordiamoci che l’onorevole Cossiga il 6 ottobre dell’anno scorso, nell’altro ramo del Parlamento, ha pronunziato un ignobile discorso, che si è rivelato falso dalla prima all’ultima considerazione, ingiurioso e provocatorio, nel quale ha testualmente affermato che tutte le responsabilità della violenza e della tensione ricadono sulla classe dirigente del Msi-Destra nazionale.
In questo discorso l’onorevole Cossiga è andato al di là delle stesse posizioni provocatorie precedenti dell’onorevole Taviani e da me ora ricordate, in una cupidigia di servilismo nei confronti di quell’estrema sinistra che ha tenuto in piedi, finché ha potuto, l’onorevole Cossiga, come ministro dell’Interno. In un dibattito serio avremmo dovuto sapere se è vero ed io credo che lo sia che l’accettazione delle dimissioni dell’onorevole Cossiga, atto di esclusiva competenza del signor Presidente del Consiglio, ha avuto luogo non dopo un colloquio a due, ma a tre. I giornali hanno raccontato che l’onorevole Pajetta si sarebbe introdotto nella stanza del Presidente del Consiglio a palazzo Chigi mentre questi discuteva di questo argomento con l’onorevole Cossiga, e che la decisione di accettare le dimissioni dell’onorevole Cossiga…”
ANDREOTTI: “Perché crede a queste cose!
ALMIRANTE: “Perché non sono state smentite, signor Presidente del Consiglio.”
ANDREOTTI: “Se dovessimo smentire tutte le stupidaggini che vengono dette…!”
ALMIRANTE: “Non si tratta di una stupidaggine, si tratta di un colloquio che…”
ANDREOTTI: “Comunque, è una stupidaggine.”
ALMIRANTE: “La ringrazio di questa sua precisazione che dà degli stupidi a dei giornalisti che servono la sua persona ed il regime ogni giorno. Prendano atto in tribuna stampa che i servizi resi alla Presidenza del Consiglio e al Partito comunista sono così gratificati.
Sarebbe stato molto meglio, molto più corretto, mi perdoni signor Presidente del Consiglio ma è un problema di estrema importanza lo vorrà riconoscere che gli italiani non dico i parlamentari, per carità, non abbiamo nessun diritto come parlamentari di ricevere tempestive informazioni fossero informati che era una stupidaggine quello pubblicato da parecchi giornali circa un colloquio a tre, Andreotti, Cossiga e Pajetta, nell’ufficio del Presidente del Consiglio. Se ella lo avesse smentito, sarebbe stato indubbiamente bene. Ad ogni modo…”
ANDREOTTI: “Ci vorrebbe un ufficio smentite, che lavorerebbe troppe ore al giorno.”
ALMIRANTE: “Non serve un ufficio smentite. Così come ha fatto pochissima fatica in questo momento a dare una rettifica, per me cortese, per i giornalisti indubbiamente meno, ma se lo meritano forse, poteva incaricare qualcuno per la smentita. L’onorevole Evangelisti ne dice tante non di stupidaggini, per carità è sempre a disposizione dell’opinione pubblica italiana nel «Transatlantico» per smentire cose vere e dire cose false, che una volta tanto avrebbe potuto smentire una stupidaggine detta da altri e non messa in giro dagli stessi ambienti della Presidenza del Consiglio o dal sottosegretario alla Presidenza del Consiglio.
Comunque, non ho voluto svilire mi perdoni le argomentazioni serie di cui stiamo parlando, attraverso questo episodio. Voglio soltanto dire che il dibattito sulle dimissioni del ministro Cossiga non c’è stato e che noi, nel quadro di un dibattito che portiamo avanti malgrado la atonia del Governo e della maggioranza, rileviamo che, fra i motivi politici che hanno portato alle dimissioni del ministro Cossiga, il più importante, il più rilevante sta proprio nel fatto che l’onorevole Cossiga si è allineato per ordine comunista o no, per intervento di suo cugino Berlinguer- o no: non ha nessuna importanza su posizioni false e provocatorie, che hanno stravolto il giudizio del Parlamento, della stampa, della radio, della televisione per mesi e per anni, ma soprattutto in questi ultimi tempi, tentando di addossare responsabilità, che noi non avevamo, sulle spalle della classe dirigente del Movimento sociale italiano. Signor Presidente se tutto fosse qui, direi: pazienza, facciamo una battaglia di opposizione, di opposizione vera, autentica, senza tregua; è logico che ne paghiamo le spese, è logico che il Governo e la maggioranza ce le facciano pagare, addebitandoci responsabilità che non abbiamo. Ma il guaio è, la tragedia è che ha pagato povera gente, soprattutto giovane gente, che ci ha lasciato la pelle.
Queste dichiarazioni provocatorie hanno giustificato, hanno avallato le provocazioni di piazza, di strada, gli agguati di scuola. Noi non sfuggiamo al discorso globale sulle responsabilità, signor Presidente. Il giorno in cui si facesse speriamo un dibattito serio sulle responsabilità, non saremmo alieni dall’assumerci anche le nostre. Può darsi che abbiamo sbagliato anche noi, può darsi che taluni nostri atti, talune nostre parole, talune mie parole, possano essere ricondotti a responsabilità di carattere generale o di carattere particolare o di carattere personale. Sta di fatto che il Governo, rappresentato dal ministro dell’Interno, recentemente ha assunto una posizione che è costata lacrime e sangue al popolo italiano e che si è rivelata, alla stregua dei fatti, delle prove, dei documenti, delle stesse dimissioni del ministro dell’Interno, una posizione provocatoria, strumentata senza alcun dubbio da chi ne aveva più interesse, e cioè dalla Democrazia cristiana e dal Partito comunista.
Bisogna anche che vi rendiate conto, signor Presidente del Consiglio, che il discorso sulle Brigate rosse non può non condurre ad un approfondito discorso di carattere internazionale. Ho qui documenti che, per brevità, eviterò di leggere o addirittura di citare. Ma lei sa benissimo, signor Presidente del Consiglio, che alla favoletta delle Brigate rosse nate sotto un cavoluccio italiano non crede nessuno. Non c’è osservatore politico, non c’è giornalista, non c’è parlamentare, non c’è uomo di Governo che ci creda. Si sono lette interviste, su giornali certo non a noi vicini, non smentite dichiarazioni cito solo quella dell’onorevole Piccoli, perché è il presidente in carica del gruppo della Democrazia cristiana relative ai collegamenti tra le Brigate rosse e la Baader-Meinhof o fra le Brigate rosse e l’OLP o fra le Brigate rosse e i famosi centri di addestramento al di là della cortina di ferro. Così, anche oggi, dalle parole dell’onorevole Costamagna sono state lanciate sia pur generiche accuse o, comunque, indicazioni; si sono fatti dei riferimenti ad interessi di altre potenze, addirittura del mondo occidentale, o intromissioni di altri servizi più o meno segreti.
E un discorso che bisogna fare, quello sulle corresponsabilità o responsabilità internazionali. Noi lo abbiamo fatto e lo stiamo facendo sulla nostra stampa, nelle piazze d’Italia, durante le recenti campagne elettorali. Credo che a Trieste ora si dovrà fare, per evidenti motivi, questo discorso, perché Trieste, se sono vere talune interpretazioni, che noi riteniamo non inesatte, si trova in prima linea, o per lo meno è un crocevia di estrema importanza. Non si può sfuggire, signor Presidente del Consiglio, a questa parte del discorso. Quindi, non possiamo non prendere atto con soddisfazione del fatto che in Senato se siamo bene informati una settantina di parlamentari della Democrazia cristiana stanno promovendo un’inchiesta parlamentare. Noi riteniamo urgente che il Governo aderisca a questa iniziativa e la favorisca, cosicché i Presidenti delle due Camere la portino avanti e non la considerino se da noi sostenuta come un atto di sabotaggio nei confronti delle attività parlamentari.
Dico questo anche perché ci capita di dover leggere sui giornali certamente non a noi vicini notizie sconcertanti e di grosso rilievo, che richiedono dei chiarimenti.
Ecco, di tutte le citazioni che mi proponevo di utilizzare quest’oggi, ne utilizzo una sola, perché è la più fresca, perché non se ne è ancora parlato: qui il giornale La Repubblica, questa mattina, reca un grosso titolo: «Servizi segreti in allarme per le “confessioni” di Moro». Pubblica un’intervista con un alto ufficiale dei servizi segreti che fa delle rivelazioni assai gravi, naturalmente senza fornire il proprio nome. Egli comunica di aver completato un importante lavoro, al quale hanno collaborato, come è comprensibile, anche i servizi segreti di altri paesi dell’Alleanza atlantica questo vuol dire che è stata compiuta una certa scelta di campo nelle indagini: ne prendiamo atto, con soddisfazione, magari, ma è importante che si sappia e che se ne parli ed aggiunge di aver raggiunto la prova «che quelle missive contengono una sorta di codice, anche se non in senso proprio, di un vero messaggio cifrato». E aggiunge che i risultati di questa prima indagine sono questi: «Aldo Moro» tengo a precisare che sto citando testualmente, perché non vorrei essere accusato di irriverenza nei confronti della memoria dell’onorevole Moro «ha fatto numerose e gravi rivelazioni ai suoi carcerieri a proposito di uomini, cose e situazioni. Sia di carattere politico, sia di carattere militare». Ora, io non pretendo, per carità, dal Presidente del Consiglio nessuna dichiarazione a riguardo, in questo momento, né alcuna smentita né, tanto meno, alcuna conferma, ma non si può non portare avanti il discorso a livello parlamentare. Il Parlamento, infatti, ha il diritto e il dovere di occuparsi di queste cose e di chiarirle. Possiamo riunirci in seduta segreta, possiamo dare luogo a una commissione che lavori sotto la copertura di un’istruttoria formalmente garantita, ma, quello che è certo, noi non accettiamo di rimanere estranei, come parlamentari e come rappresentanti dell’opposizione a dibattiti di questo genere. Non può continuare questo gioco delle tre carte, non è possibile che tutto questo resti all’interno delle strutture dei servizi di regime. Noi reclamiamo, signor Presidente della Camera, il diritto di intervenire, nei modi dovuti, ripeto, rispettando le competenze e le responsabilità. Quello che è certo, noi deputati di opposizione abbiamo il diritto di occuparci di queste cose, perché da una indagine di questo genere può dipendere la salvaguardia del nostro paese. Noi diciamo questo perché fino ad ora abbiamo dato una certa interpretazione di quanto avviene in Italia per quanto concerne gli interessi internazionali. Noi rileviamo credo che sia assolutamente obiettivo farlo che in questo momento il comunismo imperialista sovietico uso queste terminologie che sanno un poco di Brigate rosse alla rovescia, ma mi riferisco alla realtà è all’attacco in due continenti: in Africa e in Europa.
In Africa è all’attacco con i metodi che voi sapete, con le scoperture che sono note, perché si tratta di aggredire paesi posso dirlo senza offendere il terzo mondo di non ancora accreditata stabilità democratica. Aggredisce come è possibile aggredire quei paesi, senza coperture. Dall’altra parte (lo leggiamo sui giornali di oggi) si risponde con atti di guerra ad atti di guerra. Sono già in funzione o stanno per entrare in funzione ponti aerei dalla Francia e dal Belgio; entrano in azione anche milizie addestrate particolarmente a questo tipo di guerra, guerriglia o di controaggressione.
In Europa, l’unico paese aggredito è l’Italia, tornata ad essere il «ventre molle» dell’Europa. L’Italia, almeno per ora, non può essere aggredita con i metodi che il comunismo imperialista sovietico adotta nel continente africano, per cui la aggressione viene condotta attraverso l’onorevole Enrico Berlinguer ed il suo sorridente eurocomunismo. La docilità della Democrazia cristiana nei confronti dei piani dell ‘onorevole Berlinguer viene contestualmente condotta attraverso l’aggressione delle Brigate rosse.
Se le notizie apparse su La Repubblica di stamane hanno un fondamento di verità, si tratta di una clamorosa, dolorosa, preoccupante conferma di quello che noi finora siamo andati dicendo, assumendocene la responsabilità, non perché ne abbiamo prove o documenti o perché possiamo attingere a tali documenti, ma perché ci affidiamo alla tragica esperienza che da italiani stiamo vivendo da tanti anni a questa parte, nonché al buon senso ed agli orientamenti che la nostra assoluta autonomia ci suggerisce. Questi sono discorsi, signor Presidente del Consiglio, che si debbono fare e che verranno fatti; noi, da parte nostra, continueremo a farli: forse sarà la nostra delenda Carthago, signor Presidente del Consiglio. Rassegnatevi, noi non molliamo questa presa finché non si sarà capito… Non è pensabile che si possa battere il pauroso fenomeno delle Brigate rosse, qualora questo fenomeno abbia come certamente ha dei riferimenti e dei punti internazionali, se non nel quadro di una strategia anche in politica estera che a nostro avviso è incompatibile con l’attuale formula di maggioranza e con l’attuale programma di Governo. Dico questo non per motivi di risentimento personale o perché andiamo cercando l’occasione per mettere in difficoltà la sua persona o il Governo; si tratta di motivi di sicurezza e di salvaguardia nazionale, europea ed occidentale. Noi non molleremo la presa fino a quando non si sarà riusciti, come parlamentari, a compiere il nostro dovere di controllo e di indagine per sapere cosa c’è dietro tutto questo.
L’onorevole Vito Miceli ha dato luogo ad accenti estremamente interessanti e gravi; non ci si può fermare qui. Occorre procedere con estrema attenzione. In questo quadro, signor Presidente, vorrei dare un’occhiata alle responsabilità dei partiti politici a cominciare da quelle della stessa Democrazia cristiana, la quale è stata, un po’ da tutta la stampa di regime, dalla radio e dalla televisione, apologizzata per la sua fermezza. Senza dilungarmi, mi fermerò (tanto perché non si parli di nostre posizioni polemiche o preconcette) al comunicato ufficiale su Il Popolo da parte della delegazione formata dal segretario politico Zaccagnini, dai vicesegretari Gaspari e Galloni, dai capigruppo Piccoli e Bartolomei, dagli onorevoli Bodrato e Belci, dopo il colloquio con la segreteria del Partito socialista. In quel comunicato ufficiale è testualmente detto (siamo al 4 maggio): «In ogni caso» (siccome si tratta di messaggi cifrati, bisogna fermarsi su ogni parola)… «In ogni caso» (questo vuole dire qualche cosa!) «la Repubblica, attraverso le forze che la esprimono, dinnanzi alla restituzione in libertà di Aldo Moro ed a comportamenti che indicassero una svolta nell’uso della violenza, saprà certamente trovare forme di generosità e di clemenza coerenti con gli ideali e le norme della costituzione».
Onorevoli colleghi, signor Presidente del Consiglio, questa non è una trattativa? Se io dico a qualcuno o faccio sapere a qualcuno: «comportati in un determinato modo e certamente ti retribuirò in quest’altro determinato modo», questa non è una trattativa? E che cos’è? Quando la delegazione democristiana si permette di dire: «la Repubblica attraverso le forze che la esprimono» e ne parla in relazione a «forme di generosità e di clemenza», ebbene la Repubblica non può essere che identificata ed individuata nel Presidente della Repubblica. Il Presidente della Repubblica in carica o il Presidente della Repubblica da nominare entro il 24 settembre, ma forse anche prima, qualora si arrivasse a componimenti che consentissero di giungere prima alle elezioni di un nuovo Presidente della Repubblica dotato di un particolare potere di generosità e di clemenza, cioè di grazia. Signor Presidente del Consiglio, sono cose inaudite quelle alle quali sto alludendo se veramente, ma anche correttamente, non sono mai accadute in Italia? Non c’è un precedente di un Presidente della Repubblica, politicamente condizionato in un certo modo, che si è regolato con generosità e clemenza nei confronti di un certo esponente di una certa parte politica che era stato condannato, dalla giustizia italiana, alla stessa pena cui potrebbe essere condannato, nell’eventualità per lui peggiore, il compagno Curcio? II compagno Curcio ieri ha fruito della clemenza della corte di Torino, che, di fronte ad una richiesta del pubblico ministero di due anni e sei mesi, per apologia di reato, ha addolcito la pena ad 1 anno e 6 mesi. Non vi sono, quindi, precedenti? Non c’erano agganci quando la delegazione democristiana emanava questo comunicato? Mi permetto di condannare in termini umani i delegati della Democrazia cristiana? Nemmeno per sogno; umanamente mi metto nei vostri panni, comprendo il vostro travaglio, condivido le vostre ansie di allora e siccome nei vostri confronti l’animo mio non è turbato da nessuno di quei motivi che turbano le convivenze all’interno di singoli partiti, voglio assicurarvi che la mia comprensione è piena; però, se questo è stato il vostro atteggiamento, non andate a raccontare che il vostro atteggiamento è stato un altro.
In realtà, voi, Democrazia cristiana, non avete seguito né la linea molle né la linea dura, avete dato luogo ad un inizio di trattative mal cominciate e mal condotte senza avere il coraggio di assumervene la responsabilità e non avete avuto, d’altra parte, il coraggio di adottare la vera linea dura che non poteva consistere nell’attendere le condizioni, i pareri, le volontà, le decisioni e i crimini delle Brigate rosse, ma doveva consistere nel prendere iniziative, nel ricacciare in gola alle Brigate rosse i loro ultimatum, nel porre l’ ultimatum dello Stato, le condizioni dello Stato nel pretendere dal Governo una linea di fermezza di questo genere.
Si è trattato permettete che ve lo dica, siccome lo avete fatto sulla pelle del vostro presidente di una mistificazione ignobile, uso ancora questo termine, in quanto avete fatto finta di apparire come i difensori estremi della legalità contro il crimine, contro le Brigate rosse, contro il ricatto delle Brigate rosse, ma in realtà avete adottato una linea di mollezza ammantata da parole di durezza e senza, d’altra parte, la capacità neppure di utilizzare la vostra congeniale mollezza per tentare di salvare il presidente del vostro partito che vi implorava dal carcere, mediante messaggi più o meno cifrati, di restituirlo alla propria famiglia. Questa mi sembra sia la realtà, una realtà alla quale pone scarsi e tardivi rimedi l’improvvisa, e per altro molto prevista e prevedibile, impennata del senatore Fanfani, il quale parla ora di «negligenze pregresse». L’onorevole Fanfani era in quest’aula, e al suo posto, signor Presidente del Consiglio. Noi abbiamo buona memoria (almeno questo diritto l’opposizione lo rivendica, il diritto alla memoria): era al suo posto il 6 agosto 1960 tanti anni fa quando i predecessori delle Brigate rosse furono da lui difesi sulla pelle politica, per fortuna non fisica, di un altro Presidente del Consiglio e furono da lui definiti cittadini democratici, che, come potevano e come sapevano, avevano difeso il loro punto di vista, e lo avevano difeso, come tutti ricordiamo, mandando all’ospedale, a Genova, in un pomeriggio, 150 tra carabinieri, soldati e agenti di polizia.
È cominciata di lì la questione. Quindi, se negligenze come dice ora il senatore Fanfani vi sono state, di queste lamentele e delle conseguenti negligenze il senatore Fanfani è stato come al solito l’antemarcia, essendo egli l’antemarcia di ogni tipo di politica che in Italia si conduca sulle rovine del nostro paese da tanti anni a questa parte. Consentiteci questo rilievo, che crediamo assolutamente obiettivo. Ma siccome sembra che l’altro «cavallo di razza», essendo deceduto il primo, voglia riacquisire la primazia al vertice della Democrazia cristiana per carità, buona fortuna, tanti auguri, buon lavoro! cerchiamo di non capovolgere il gioco delle responsabilità, perché le responsabilità sono di tutti, e talora accade che siano soprattutto di coloro che vorrebbero rifarsi oggi una verginità sulla pelle della gente. E parlo della povera gente di destra, che ci ha rimesso, dal 1960 in qua, largamente la pelle.
Un discorso ancora più serio e più grave, anche se contenutissimo nella durata e nei termini, è quello che dobbiamo rivolgere ai responsabili de Partito comunista. Abbiamo letto sui giornali l’autocritica del senatore Bufalini, in comitato centrale del Partito comunista; abbiamo letto sui giornali autocritiche ancora più esplicite di altri esponenti specializzati del Partito comunista. Ne leggo una sola, è la più recente ed è del senatore Pecchioli, che su l’Unità scrive di solito tutti gli articoli più qualificati ed autorevoli sui problemi dell’ordine pubblico e della sicurezza dello Stato. Alla domanda, rivoltagli da un redattore della Gazzetta del popolo: «Dove si è sbagliato?», il responsabile comunista della politica dell’ordine pubblico, onorevole Pecchioli, risponde: «Nel non valutare l’ampiezza e la pericolosità del fenomeno del terrorismo: si è tardato a capire che l’ondata di piena montava da sinistra».
A questo punto, non posso chiedere le dimissioni di tutta la classe dirigente del Partito comunista! Se avesse così parlato un ministro responsabile o un Presidente del Consiglio, credo che tutto il Parlamento gli avrebbe detto: vattene, perché hai sbagliato! Cossiga se n’è andato per gli stessi motivi. È ora di finirla con il Partito comunista partito di lotta e partito di Governo o partito di autocritica, di lotta e di Governo. È ora di finirla con un Partito comunista responsabile ed irresponsabile! Da due anni a questa parte ve lo siete preso per mano, onorevole Andreotti! Avete preso per la mano il Partito comunista, perché bisognava introdurlo nella maggioranza, allo scopo soprattutto (ricordo il preambolo di quel vostro patto del 1976 e del programma del mese di luglio 1977) di affrontare e superare l’emergenza. In termini di emergenza dell’ordine pubblico e dell’ordine sociale è stato indispensabile associare il Partito comunista. Il giorno 13 luglio 1977 avete presentato a questo ramo del Parlamento un’ampia mozione programmatica, in cui i temi dell’ordine pubblico e della magistratura erano uno per uno indicati; e si proponevano i rimedi, che noi combattevamo con un nostro programma di alternativa, ma che comunque facevano parte di un organico programma di rimedi. Non ne avete attuato nemmeno uno, ed io voglio capire in quanto non riesco a capirlo perché la Democrazia cristiana, in questa specie di cupidigia, di suicidio, neanche più di servilismo, voglia attribuirsi tutte le responsabilità e non chiami ad una resa dei conti il Partito comunista, che fa l’autocritica, che non è stato capace di tutto l’arco di questi ultimi mesi di fare una proposta. Noi leggiamo, un giorno sì e l’altro no, su l’Unità ed io vi cito titoli testuali «Bisogna uscire dalla paralisi!», «Bisogna uscire dall’impotenza!», «Ci vuole un colpo d’ala, ci vuole un’impennata». Ma mi vuoi dire codesto novello D’Annunzio, che è l’onorevole Berlinguer, quali siano i colpi d’ala e le impennate che il Partito comunista è capace di suggerire in questo momento alla maggioranza e al Governo?
Durante questi mesi il Partito comunista su l’Unità e su Rinascita ho, ripeto, qui i documenti, ma non vi faccio perdere del tempo ha mosso delle accuse molto pesanti, non a noi una volta tanto ci hanno risparmiato ma a voi e a tutto il regime. È uscito il pesante articolo su l’Unità, di cui si è molto parlato, intitolato «I santuari»; e i santuari sono, secondo l’Unità, quei centri misteriosi di potere, economico, giudiziario, politico, militare, poliziesco, che essendo stati estromessi o limitati nei loro privilegi, si sarebbero vendicati dando luogo ad attività o concorrendo alle attività sovversive, terroristiche, come quelle delle Brigate rosse.
Quando la stampa, il testo della stampa italiana ed alcuni ambienti politici, a cominciare dai nostri, hanno chiesto spiegazioni al Partito comunista relativamente a questo grosso articolo e a quello su Rinascita («Una sfida decisiva»), è apparsa sulla stessa Rinascita una precisazione: «Ma… alcuni articoli apparsi sulla nostra stampa ed alcune riviste o dichiarazioni di dirigenti comunisti sono stati male interpretati e nella sostanza travisati. Non ci siamo mai lanciati in congetture, più o meno fantasiose, su complotti.» No, per carità! Questi sono i titoli su l’Unità e su Rinascita «Non ci siamo mai lanciati né abbiamo fatto nomi» certo! «né tanto meno indicato piste per gli indagatori». No, le trame, questa volta, il Partito comunista non le ha inventate; rinunzia alla paternità dell’invenzione delle trame, però ha lanciato il sasso e ritira la manina.
E vi pare possibile che si stia al gioco? Ci potete stare voi, che avete con il Partito comunista i vostri accordi, che avete dal Partito comunista i voti per sorreggere il vostro impotente Governo, potete voi prendervi ogni mattina ceffoni dal Partito comunista, essere accusati di incapacità da coloro che, insieme a voi, dimostrano la loro incapacità. Ma noi non ci stiamo a questo gioco. Chiediamo chiarimenti. Si parli. Mi auguro che nella seduta di oggi il Partito comunista incarichi qualche responsabile di parlare. Ci spieghi in che cosa consistono i «santuari», quali sono i poteri occulti che il Partito comunista ha messo in rilievo, quali sono le proposte del Partito comunista perché se ne esca. Ed anche dall’onorevole Craxi (i socialisti sono globalmente assenti, fino ad ora, a questo dibattito) è ora che si chiedano dei chiarimenti, e non solo a porte chiuse. Perché l’onorevole Craxi a porte chiuse parla in Italia, ma concede interviste, ha concesso una intervista ad uno dei giornali più diffusi e più noti del mondo, a Stern, in cui, per esempio, si dice che «tutti i terroristi conosciuti fino ad ora hanno un passato comunista», in cui si afferma che «è indubbio che le Brigate rosse hanno una matrice leninista», in cui si dice che «è indubbio che funzionari stalinisti del Partito comunista piemontese e ligure lavorino per i servizi segreti dell’Europa orientale». Bene, l’onorevole Craxi, l’umanitario onorevole Craxi o si occupa soltanto di problemi umanitari, ed è rispettabilissimo in questa sua attività, o assume posizioni di questo genere, ed allora le deve chiarire. Il Parlamento deve sapere di che cosa si tratta.
Infine, onorevoli colleghi, vengo al nostro atteggiamento. Io , al riguardo, non faccio altro che ripetere in sintesi quanto è stato già detto dai colleghi che mi hanno preceduto, ma, come segretario di questo partito, ho il dovere di spiegarmi con chiarezza, non voglio dire per l’ultima volta, perché se ne riparlerà, ma in maniera, per quanto ci riguarda, definitiva.
Noi non abbiamo chiesto sin qui alcuna norma eccezionale; non siamo affatto allergici ad eventuali richieste di norme eccezionali qualora se ne rivelasse l’opportunità o la necessità. Non esiste al mondo Stato democratico, non esiste Parlamento democratico, il quale, di fronte ad una situazione eccezionale, non prenda in considerazione la possibilità di misure eccezionali. Se non le abbiamo chieste e non le chiediamo è perché non crediamo ve ne sia bisogno; se non crediamo che ve ne sia bisogno è perché reclamiamo l’applicazione delle leggi vigenti; se reclamiamo l’applicazione delle leggi vigenti è perché reclamiamo in primo luogo l’applicazione puntuale e globale della Carta costituzionale italiana. A questo riguardo, sia detto una volta per tutte, noi non abbiamo avuto l’onore di essere presenti all’Assemblea costituente e quindi in calce alla Carta costituzionale non c’è la firma del nostro partito, che in quel momento non era ancora stato fondato. Ma siamo qui dalla prima legislatura e dalla prima legislatura, se mi consentite, particolarmente io, che ho sempre fatto parte o della Commissione interni o della Commissione affari costituzionali, mi sono occupato e dedicato a questi problemi e la nostra tesi è sempre stata quella della puntuale, fedele, leale, globale applicazione della Costituzione di tutta la Costituzione ivi compreso l’articolo 138, il quale stabilisce le guise nelle quali la Costituzione può essere, con le maggioranze adeguate, eventualmente modificata.
Qual è il comportamento, in questo momento, dei partiti politici di fronte alla Carta costituzionale? C’è un solo partito, il nostro, che rivendica l’applicazione globale della Costituzione, a cominciare dall’articolo 138; tutti gli altri partiti, nessuno escluso, disattendono l’applicazione della Costituzione nelle norme che agli altri partiti non fanno comodo, o non piacciono. È clamoroso in questi giorni il caso delle norme, tanto citate e bistrattate, degli articoli 39 e 40 della Costituente. Ho letto ieri su una rivista autorevole, anche se iettatoria, che si chiama Astrolabio, una incredibile nota nella quale un padre della Costituzione della Repubblica arriva a dichiarare testualmente, quanto agli articoli 39 e 40, che si può far benissimo a meno di applicarli o si possono applicare nella parte che conviene. Quanto all’articolo 40, per esempio, si può far benissimo a meno di applicare la seconda parte che si riferisce all’ambito delle leggi che regolano l’istituto, in quanto basta applicare la prima parte, che dice che lo sciopero è ammesso. Così per l’articolo 27 della Costituzione, che è invece quello che in questo momento ci interessa relativamente alla ammissibilità o meno della pena di morte nel nostro diritto. Noi sosteniamo che la Costituzione, tutta intera, debba essere applicata. L’onorevole Franchi ha spiegato che il combinato disposto degli articoli 27 e 87 della Costituzione consente, non tanto perché non è questo il problema che ci interessa in prima linea l’applicazione o la reintegrazione, come inesattamente si dice, della pena di morte nel nostro diritto; concerne più vastamente il modo per affrontare l’emergenza. La Costituzione repubblicana, all’articolo 87, affida al Capo dello Stato poteri costituzionali di emergenza e al Parlamento affida la deliberazione in ordine alla dichiarazione dello stato di guerra, che il Capo dello Stato adotta ed esegue. La Costituzione, all’articolo 27, dichiara non ammissibile la pena di morte tranne nei casi previsti dalle leggi militari di guerra e «tranne nei casi» costituzionalizza la pena di morte. Quindi, non si tratta da parte nostra né di una posizione di richiesta di leggi eccezionali, né di una posizione extra-costituzionale, tanto meno anticostituzionale; si tratta di chiedere che le norme, che esistono nel nostro diritto costituzionale e che concernono i casi di emergenza, vengano attuate. Si tratta, sostanzialmente, da parte del Parlamento e del Governo, di rispondere ad un quesito: la situazione è di emergenza per quanto riguarda lo stato di sicurezza della nazione italiana o no? Se la risposta è positiva, altro quesito: quali leggi ci occorrono per poter affrontare la situazione di emergenza? C’è bisogno di leggi eccezionali o no? Se la risposta è negativa, il nostro esame di coscienza deve procedere: qualora le leggi vigenti siano sufficienti, a quali di esse bisogna guardare? E la risposta è molto semplice: si tratta della Carta costituzionale, dei suoi articoli 27 e 87; soprattutto si tratta del codice penale vigente; si tratta del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza vigente; si tratta dei codici penali militari di guerra e di pace, pienamente vigenti; si tratta di affidarsi a queste leggi e di decidere, di stabilire sulla base di esse. Quel che noi non possiamo accettare, quello che non possiamo condividere, quello che neppure psicologicamente sopportiamo è la condizione di atarassia in cui si trovano il Governo, il Parlamento, la Presidenza della Repubblica, le Presidenze delle Camere a questo riguardo.
Io ricordo (e spero che tutti noi lo ricordiamo) quanto ebbe a dire il 16 marzo in quest’aula in un’aula ben altrimenti attenta e affollata, traumatizzata l’onorevole Ugo La Malfa, quando ci richiamò alle responsabilità che noi abbiamo come parlamentari nei confronti di tutti i cittadini italiani. Ed allora io chiedo, onorevole colleghi (e Iddio non voglia che quanto sto per dire possa avverarsi; ma è molto difficile che non si avveri, perché la logica delle cose è quella che è): se dovessimo trovarci in questa stessa aula in un altro 16 marzo, voi che cosa pensereste di fare? Pensereste di riportarvi ai discorsi di allora e di oggi, all’impotenza di allora e di oggi, all’ atarassia di allora e di oggi, al cinismo di allora e di oggi, alla confusione mentale di allora e di oggi, ai giochi di compromesso di allora e di oggi, essendo da allora ad oggi la situazione peggiorata, a livello di vertice, perché allora avevamo un ministro dell’Interno che sbagliava , adesso abbiamo un Presidente del Consiglio, ministro dell’Interno ad interini, che non ha avuto e non ha neppure la possibilità di tirar fuori dal forcipe del compromesso storico uno straccio di ministro dell’Interno che venga qui ad assumersi le sue responsabilità? Se Iddio non voglia si ripetesse una seduta come quella del 16 marzo, il discorso valido, vero, utile, giusto, sacrificale e responsabile sarebbe il vostro, quello dei vostri banchi vuoti, o sarebbe questo, il discorso dell’opposizione? E vorrete sentirvi dire, a proposito di nuovi, eventuali, sciagurati eventi, che Iddio allontani dalle vostre e dalle nostre teste quello che oggi, sia pure sinteticamente ed appassionatamente, vi ho ricordato a proposito di precedenti lutti, di precedenti traine, di precedenti complotti, di precedenti crimini, di precedenti responsabili ai quali non avete voluto dare ascolto, perché il richiamo veniva dalla nostra opposizione, perché il sacrificio di sangue era da questa parte?
Io, per il bene dell’Italia, mi auguro con tutto il cuore che vi rendiate conto del gravame di responsabilità umane che pesa su di voi. Non posso perché sarei in malafede, se lo facessi auspicare che questo Governo e questa maggioranza trovino le illuminazioni necessarie al loro interno; mi auguro che, sia pure per questi dolorosi motivi, dopo questo lavacro di sangue e di sacrificio che tutti hanno pagato e potrebbero pagare, si determini una svolta politica che dia finalmente a chi governa l’Italia la possibilità di parlare in italiano agli italiani, di chiarire i misteri di questa Repubblica, di assumersi le proprie responsabilità e di salvare, prima che sia troppo tardi, le fondamenta stesse della nostra civiltà.”
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