Seduta del 4 giugno 1948
Vita politica
Il difficile esordio nella Camera dell’ 48 Il primo e l’ultimo discorso parlamentare: l’inizio e la fine della sua fatica parlamentare. Questi che seguono sono i testi dei discorsi pronunciati da Giorgio Almirante appena eletto deputato e quan do la fine della sua vita si avvicinava. L’uno fresco di inesperienza, molto vivo, esordio parlamentare eccezionale per quanto privo delle grandi qualità che egli affinerà negli anni successivi e che saranno evidenti in tutti i suoi interventi. L’ultimo con i segni della stanchezza fisica che non gli consentivano più l’eloquenza dei suoi tempi migliori L’uno e l’altro pregevolissimi non appartengono, quindi al meglio della sua oratoria (della sua che superava di molte spanne quella di tantissimi altri) li pubblichiamo come particolare segno di omaggio a questa sua enorme attività dellaquale si deve essere, come per tante sue altre, gratissimi.
ALMIRANTE: “Onorevoli colleghi, al termine delle sue lunghe, minuziose e consentitemi la parola -gelide dichiarazioni, il Capo del Governo ha cortesemente detto che dalla discussione che oggi si inizia in questa Assemblea egli attende un contributo di forza, di autorità e di consigli. Ahimé! Non soltanto perché io sono fra i primissimi a prendere la parola fra i deputati che non fanno parte della coalizione governativa, ma anche perché sono nuovo a questo ambiente e a questi dibattiti, io temo davvero di non potere dare un contributo di forza né di d’ autorità e temo anche che il Capo del Governo non ascolterebbe il mio consiglio Ho però una presunzione: quella di potere ispirare a lui ed a quest’, Assemblea, che così spesso si dimostra faziosa e così spesso, purtroppo, si dimentica del paese, di potere, dico, ispirare una speranza: la speranza cioè, che anche qui dentro si possa svolgere un’opposizione serena, un’opposizione intonata soltanto agli interessi dell’Italia, nel nome dei quali il Movimento sociale italiano intenderà battersi sempre. Premetto che non mi occuperò della parte sociale, economica e finanziaria, trattata dal Presidente del Consiglio, in quanto su questo argomento vi intratterrà uno dei miei colleghi. Noi non siamo onniscienti e non abbiamo la ventura di avere nel nostro Movimento uno di quei capi a tutto fare, che sono la delizia di altri partiti. In primo luogo, ho da fare un rilievo di carattere generale. Nel discorso del Presidente del Consiglio ho rilevato una singolare assenza di principi; vi ho individuato molte formule, ma non sono riuscito ad individuare un programma. Mi sono venuti in soccorso quei giornali, che si chiamano indipendenti e che, come sapete, non nascondono le loro simpatie vivissime per il partito di maggioranza. Essi hanno spiegato che si trattava di un discorso tecnico. È esatto. Ma voi sapete che la tecnica non è un fine; è un mezzo, è uno strumento. Voi sapete che, usando lo stesso strumento, il modesto vassallo lavora la creta e ne fa degli umili utensili, mentre l’abile artefice, con la stessa creta fa deliziose e delicatissime anfore. Leggendo attentamente le dichiarazioni del presidente del Consiglio, io mi domandavo assai spesso se mi trovassi di fronte al vasaio o all’artista. I giornali indipendenti, di cui parlavo prima, mi sono venuti anche a soccorrere dandomi un’altra spiegazione e dicendomi: «Attendete il Governo alla prova; aspettate i fatti; i fatti verranno». Esatto anche questo. È chiaro: noi attendiamo il Governo alla prova. Ma il Governo alla prova lo avremmo atteso in ogni caso, anche se le dichiarazioni del Presidente del Consiglio fossero state più esaurienti. Piuttosto, la spiegazione vera io l’ho trovata nello stesso discorso del Presidente del Consiglio, quando all’inizio egli ci ha spiegato quale è stata la formula con cui ha proceduto alla composizione o, meglio, per parlare con questo triste gergo parlamentare, al rimpasto del Governo. Una voce all’estrema sinistra. Cambio della guardia! ALMIRANTE . È la solita formula, che conosciamo da tempo: è la formula della conciliazione degli opposti. Di questa formula si è occupato e preoccupato anche il collega che mi ha preceduto. Ma io me ne occupo e preoccupo per ragione diversa. Egli ha espresso la preoccupazione che si faccia troppo dirigismo; io esprimo la preoc cupazione che non si diriga nulla, che si faccia del nullismo. Sulla barca governativa sono stati accolti dei remiganti i quali indubbiamente vogliono remare in direzioni opposte: al centro di questa barca l’onorevole De Gasperi ha innalzato una bianca vela, la vela del progressismo e dell’ innovazione; giacché ci ha comunicato nel suo discorso che la Democrazia cristiana è un partito innovatore e progressista. Ma noi temiamo fortemente che, remando gli uni in un senso e gli altri nell’altro e mancando purtroppo ancora il buon vento degli effettivi del paese, la barca si areni nelle solite secche. Temiamo fortemente di sentir dire ancora una volta che il cambio della moneta si doveva fare, ma non si è potuto fare per ragioni di Governo, che la riforma agraria si doveva fare, ma non si è potuta fare per ragioni di Governo, che la riforma industriale si doveva fare, ma non si è potuta fare per ragioni di Governo. Noi temiamo fortemente che si parli ancora una volta delle ragioni di Governo, delle ragioni di partito, delle ragioni di Parlamento e ci si dimentichi come spesso accade delle ragioni del paese che ci guarda ed attende da noi una parola di fede,di speranza; che vuole che noi lavoriamo per lui, perchè è il paese che ci ha mandato qui. Io temo fortemente che i malanni, che nei tempi passati ci procurarono le esarchie e le triarchie,si ripetono con questa tetrachia : sono i malanni della coabitazione,che gli italiani, ahimè, ben conoscono. Io capisco perfettamente che per l’onorevole De Gasperi sia molto più gradevole coabitare con l’onorevole Saragat e con l’onorevole Giovannini, che sono persone distinte e ben educate, piuttosto che con gli onorevoli Nenni e Togliatti,con i quali non andavano troppo d’accordo. Ma non è questo che ci interessa che non si coabiti più e che si lavori in un determinato senso e ci si dica dove si vuol portare questa famosa navicella governativa. La Democrazia cristiana ha raccolto suffragi importanti: ha una grossa responsabilità e deve rispondere di questa responsabilità. Il paese esige che l’epoca dell’irresponsabilità cessi definitivamente, perché troppi danni ci hanno già arrecato. Veramente, almeno un principio è stato affermato dall’onorevole De Gasperi: quello della democrazia rispettata. Dopo la democrazia occidentale e quell’orientale, dopo la democrazia diretta, tanto cara all’onorevole Togliatti, abbiamo imparato cosi una nuova definizione della democrazia, in attesa di apprendere e di vedere in atto finalmente la democrazia senza aggettivi; o, se un aggettivo vogliono darle, perché non chiamarla democrazia amata e perché non farla finalmente amare dal popolo? Infatti rinnovando e aggiornando un motto celebre, si potrebbe veramente dire: o democrazia, quanti delitti ed errori sono stati commessi in tuo nome in questo dopoguerra!Per evitare altri errori l’ onorevole De Gasperi ha indicato il sistema, dicendo che vuol rafforzare l’autorità dello stato. Sta bene.Vorremmo però sapere qualcosa circa la riforma della burocrazia civile,alla quale ha accennato e che è tanto importante sempre a questo riguardo, egli ha detto che vuole l’autodisciplina dei partiti. Mi permetta di osservare che si pecca un pochino d’ ingenuità,quando si chiede l’autodisciplina agli odierni partiti italiani, che non hanno nemmeno la disciplina. Si tratterà piuttosto di far valere sul serio i principi della Costituzione e di far sì che i partiti e le assemblee e gli organi di Governo siano effettivamente rappresentativi della volontà popolare e non di quella di ristrette minoranze oligarchiche. Il Presidente del Consiglio ha parlato della necessità di disarmare il paese.Siamo d’accordo, anzi invitiamo il Governo a fare veramente sul serio. Qualche tempo fa il capo di un partito disse scherzosamente ad un giornalista che per fare la rivoluzione gli occorrevano mille mitra. Le impressionanti statistiche citate dal Presidente del Consiglio ci hanno fatto sapere che v’erano 876 di più,perché 1876 ne sono stati già sequestrati nel breve periodo di tempo che egli ci ha citato.Ringraziamo dunque iddio che ci ha evitato la rivoluzione. Ma stiamo in guardia. Ci narra Lamartine che in una sola notte le autorità rivoluzionarie francesi seppero disarmare Parigi che brulicava di armi clandestine. Noi sappiamo che l’onorevole Scelba non è Danton, e credo che questo faccia piacere anche all’onorevole Togliatti,come fa piacere a tutti noi. E’ il caso tuttavia di prendere molto sul serio quest’ argomento,molto più sul serio di quanto esso non sia stato preso sinora, perchè ci siamo trovati molte volte- ed il Governo lo sa benissimo- sull’orlo di un precipizio. Il Presidente del Consiglio ha parlato di rispetto dei diritti costutizionali. Siamo d’accordo anche in questo. non vorremmo però si dimenticasse quel provvidenziale articolo 138 della Costituzione nel quale si parla della possibilità di rivedere il testo costituzionale. Voi sapete benissimo in quale clima di compromesso e di faziosità è nata questa Costituzione. Voi sapete benissimo- e lo ha confessato la stampa di tutti i partiti- che il testo costituzionale risente di quel clima. bisogna che di questo l’Assemblea legislativa abbia piena coscienza. E un argomento sul quale ritorneremo, limitandoci, perora a sfiorare un aspetto. Il Presidente del Consiglio ha sorvolato sul problema dell’Ente Regione, tranne un breve cenno a proposito della riforma agraria. Non so se egli abbia evitato l’argomento appositivamente. Spero che sia così,altrimenti debbo rivelevare che con la costituzione dell’Ente Regione si minaccia, in maniera forse irreparabile, l’unità del paese. A proposito di tale unità,il Presidente del Consiglio ci ha parlato dell’esercito e, con una felice ripetizione,egli ha detto che l’esercito è la difesa vivente di un paese cui sono state tolte le difese. Si, l’esercito è vivente;vivente,però, non soltanto nell’attimo che passa, vivente non soltanto con quello che sono le sue schiere ridotte d’ oggi,ma con tutti i suoi vivi ed i suoi morti ,vivente nel tempo con le sue tradizioni gloriose, vivente nei reduci e nei profughi. Di questo il Presidente del Consiglio non si è ricordato e noi ce ne rammarichiamo. E’ un problema tremendo,è un problema angoscioso.Si dirà che i precedenti Governi hanno fatto molto per i reduci e per i profughi,si dirà che hanno speso molto denaro e si citeranno le solite statistiche. A quelle statistiche io non risponderò con altre statistiche, ma risponderò con le lacrime, con le sofferenze, col dolore che tuttora si sprigiona dalle migliaia e migliaia di reduci senza lavoro, di profughi senza tetto.Da questo punto di vista noi chiediamo al Governo garanzie precise e definitive, chiediamo che si dia inizio ad una effettiva politica, non dirò di assistenza, Perché la parola suonerebbe offesa-sono essi che ci hanno assistiti quando la Patria era in pericolo-, ma di comprensione nei riguardi dei reduci e dei profughi.Essi devono essere sempre, in ogni in ogni istante, il nostro primo pensiero. A proposito dell’esercito, è forse sfuggita al Presidente del Consiglio una frase pericolosa. Non vorrei dare l’impressione di fare qui questione di parole, ma egli ha detto che l’esercito darà prova di «lealtà verso il regime voluto dal popolo». Avrei preferito che egli dicesse che l’esercito darà prova di fedeltà alla Nazione. Non vorrei che si preparassero nuovi casi Tamagnini per l’avvenire. Sempre a proposito dell’esercito, il Presidente del Consiglio dei Ministri ha, molto giustamente, parlato delle nostre tradizioni. Ora, tra queste tradizioni ve n’è una che forse si eleva sopra tutte le altre: è la nostra tradizione coloniale. Anzi, questa parola è inadeguata, direi piuttosto: «La nostra tradizione civile», perché noi non abbiamo colonizzato, ma abbiamo civilizzato. Non siamo stati dei coloni, ma dei pionieri. Ora, da questo punto di vista le dichiarazioni dell’onorevole De Gasperi sono state veramente insoddisfacenti per noi. Egli ha detto che i nostri lavoratori e le nostre imprese andranno in Africa centrale per conto degli inglesi e d’altri imprecisati. Quanto, poi ai nostri diritti sulle nostre terre africane, egli si è limitato ad esprimere un po’ vagamente la speranza che tali diritti siano in qualche modo tenuti presenti. Debbo dire che non è questo il linguaggio che il popolo italiano attende dal Presidente del Consiglio. Badate, io non voglio affatto fare delle affermazioni retoriche. Mi rendo conto delle tremende difficoltà e degli angosciosi problemi che si presentano a coloro che hanno oggi il timone della politica italiana. Ma non bisogna esagerare: è ancora caldo il sangue degli italiani caduti a Mogadiscio per colpa e per responsabilità degli inglesi. Il popolo italiano non ha avuto ancora soddisfazione: e già si parla di mandare dei lavoratori italiani a lavorare nell’ Africa centrale per conto degli inglesi e di altri imprecisati. Dove, di grazia? Con quali garanzie? Forse nelle terre dove nessun uomo bianco può avventurarsi, perché ci si muore? E se veramente gli inglesi vogliono il contributo del lavoro italiano in Africa, per quale ragione essi non vogliono che i lavoratori italiani si rechino nel Gebel cirenaico che fu fecondato dal nostro lavoro, che aspetta il nostro lavoro? Perché, se al principio del secolo si parlava di «mal d’Africa», oggi si può parlare veramente di «mal d’Italia». Come si diceva un tempo che noi volevamo l’Africa, oggi si può dire che l’Africa ha bisogno di noi, che è l’Africa che vuole noi e il nostro lavoro. È accaduto quello che non era mai successo nella storia coloniale di tutti i popoli e di tutti i tempi: è accaduto che commissioni d’ indigeni hanno richiesto insistentemente il ritorno di una potenza occupante, di una sola potenza occupante: l’Italia! Questa è una grande vittoria del popolo italiano, della civiltà italiana; dirò di più, è l’unica grande vittoria civile che sia stata celebrata in questo odioso dopoguer ra, in cui i cosiddetti vincitori hanno dimostrato di aver veramente perduto la partita, perché hanno perduto la pace Di questa vittoria, di questa vittoria italiana il Governo si deve fare arma e strumento per agire sull’opinione pubblica internazionale e per reclamare dignitosamente, ma fermamente, i nostri diritti africani. A questo argomento se ne collega un altro, in maniera diretta: la revisione del diktat. La pattuglia del Movimento sociale italiano ha l’onore di annoverare nelle sue file uno dei pochissimi deputati che l’anno scorso in quest’ Aula si opposero alla rettifica, l’unico che si oppose alla firma: l’onorevole Russo Perez. Un anno fa gli fu detto che bisognava firmare subito, perché altrimenti l’Italia non sarebbe potuta entrare nell’O.N.U.: è trascorso un anno, e l’Italia nell’O.N.U. non è entrata. Anche da questo punto di vista le dichiarazioni del Presidente del Consiglio non sono soddisfacenti. Egli ci ha detto che alla formula della revisione formale ed integrale è per ora da preferirsi la formula della revisione rapida ed elastica. Sono due strani aggettivi. Io vi prego di andare a dire ad un triestino, ad un istriano, che la revisione è rapida. Sì, è vero, dieci, venti, cinquant’anni di storia sono nulla per un popolo; ma per chi soffre un’ora è anche di troppo, e ci sono molti, troppi italiani che stanno soffrendo in seguito alla firma del trattato di pace. Pensiamo a loro e non sempre alle solite ragioni politiche, alle solite ragioni di Stato. Quanto, poi, alla revisione elastica, mi rimetto all’ Assemblea per il giudizio che essa può dare sulla validità di quest’ enigmatico aggettivo. Quanto ha detto il Presidente del Consiglio in materia di politica estera, di uniformi doganali, di possibilità d’ intesa con i Paesi dell’Europa occidentale deve essere, a nostro parere, assoggettato a questo fondamentale argomento: revisione del Trattato di pace; partecipare, sì, a tutte le intese; partecipare, sì, a tutte le unioni, ma sul piede di parità. Altrimenti, se il nostro destino deve essere ancora quello di colonia o di semicolonia, sono inutili le belle formule. Esse non servono a mascherare una realtà di fatto. Noi dobbiamo reclamare giustizia per gli italiani nel mondo, perché, senza la giustizia per gli italiani, nel mondo non vi può essere la pace. Siete proprio voi, partito di maggioranza, che lo sapete e lo proclamate: opus justitiae pax. Ma questo non può avvenire soltanto di fronte all’estero: questo deve avvenire all’interno. Deve esservi giustizia all’interno e, perché giustizia vi sia, deve esservi parità all’interno, parità di diritti tra tutti gli italiani di buona volontà. Il Presidente del Consiglio ha avuto un merito: quello di affrontare l’arduo tema della pacificazione durante il suo discorso. Veramente, ho detto troppo: egli non lo ha affrontato, lo ha semplicemente sfiorato. Citerò al riguardo, molto brevemente, qualche parola scritta o detta da autorevoli personalità che fanno parte di questa Assemblea: «…i principi democratici -scrivono due personaggi che voi conoscetesecondo i quali nessuna discriminazione deve esser fatta tra i cittadini per le loro opinioni politiche o sociali». Queste parole -forse vi stupirà -si leggono in una interrogazione presentata oggi alla Camera dall’onorevole Togliatti e dall’onorevole Gian Carlo Pajetta. È vero che tale interrogazione si riferisce alla democrazia americana; ma credo di poter affermare che questi principi debbano ovunque ritenersi validi. Ma voglio citarvi un’altra frase: «Basta dunque con le rappresaglie! Bisogna arrivare ad un’equa giustizia da tutte le parti, alla giustizia per tutti, anche per esempio per tutti i delitti politici, per tutte le ingiustizie politiche che si siano potute deplorare in passato». Queste parole sono ancora più impegnative e importanti perché le pronunciò lo stesso Presidente del Consiglio, onorevole De Gasperi, a Genova, in un suo discorso elettorale, l’11 aprile. Spero di non essere stato indiscreto citando frasi elettorali, perché sono sicuro che l’onorevole Presidente del Consiglio, il quale parlava anche allora in qualità di Presidente del Consiglio, non vorrà smentirle; perché il popolo italiano lo ha rieletto anche per questo, anzi soprattutto per questo. Mi conforta dunque la speranza che si vorranno cancellare una buona volta quegli obbrobri che passano sotto il nome di leggi eccezionali. Mi conforta, dicevo, questa speranza, perché è una voce che sento ormai levata spesso dalla stampa italiana: e non solo da quella cosiddetta indipendente, ma anche da organi di partito. lo non intendo, onorevoli colleghi, affrontare ora una disquisizione giuridica, ma mi permetto semplicemente di dire che la stessa formula di «leggi eccezionali» è insostenibile perché, se sono eccezionali, non hanno qualità di legge e in questo caso l’eccezione non conferma la regola, ma la uccide. La Costituzione esclude la possibilità di leggi retroattive. Ci sono però le cosiddette disposizioni transitorie; e allora il problema si riduce a questo: vogliamo vivere eternamente in uno stato provvisorio, vogliamo camminare sempre sull’orlo dell’abisso, o vogliamo veramente, una buona volta, avviarci verso la grande pianura del progresso e della ricostruzione? Si dice che si tratta di questione irrilevante, si dice che si tratta di pochissimi detenuti…”
GRASSI: Ministro di grazia e giustizia. “Sono circa duemila.”
ALMIRANTE: “…ma debbo rilevare che quando si chiedono dati precisi al Ministero della giustizia, questi dati non si riesce ad averli; debbo rilevare con stupore che lo stesso Istituto di statistica non ha dati precisi e, soprattutto, non ha dati riferentisi ai singoli cosiddetti reati. lo quindi non so se questi detenuti siano pochi o molti; ma quand’anche, come dice l’onorevole Ministro Grassi,–‘essi siano soltanto duemila, ebbene: per chiudere in galera duemila persone, vi pare opportuno e giusto tenere in piedi questa spaventevole bardatura di leggi eccezionali? Quand’anche ci fosse una sola madre, quand’anche ci fosse una sola moglie o una sola sorella a piangere, queste lacrime basterebbero a disonorare un Paese.”
CAPPUGI: “Venti anni di fascismo! Le leggi eccezionali chi le ha fatte?”
MIEVILLE: “Io stavo a combattere.”
CAPPUGI: “Non è il pulpito adatto per questa predica.”
ALMIRANTE: “Se poi queste leggi riguardassero molte persone, allora il permanere delle stesse sarebbe evidentemente un insulto alla democrazia. Quindi, tanto nell’un caso quanto nell’altro è necessario e urgente abolirle.”
TOGLIATTI: “Chiede la carità!”
ALMIRANTE: “Non chiedo la carità, onorevole Togliatti, io parlo in nome dell’Italia che ha troppo sofferto. Una voce all’estrema sinistra. Parla in nome dei fascisti, non dell’Italia!”
ROBERTI: “Da qualunque parte si dica, è sempre la verità, onorevole Togliatti!”
CAPPUGI: “Ci vuole un po’ di pudore!”
ALMIRANTE: “Avete ucciso la democrazia.”
Una voce al centro: “Con quale coraggio parlate voi di democrazia? “
TOGLIATTI: “Abbiate il coraggio di stare in carcere quando vi tocca!”
ALMIRANTE: “Si dice da alcuni che vi sono ragioni internazionali che ci vietano di abolire le leggi eccezionali. Non è vero. Queste ragioni esistevano con l’armistizio; col trattato di pace non esistono più: esso all’articolo 15 considera soltanto il caso dei criminali di guerra e non le leggi di carattere eccezionale. Colui che qualche anno fa innalzò questo tempio d’ingiustizia ebbe a chiamarlo «tempio, tetrastilo», usando una formula greca, forse perché alla lingua latina, la lingua del diritto, ripugnava una definizione di questo genere. Oggi questo tempio a quattro colonne o è crollato o sta crollando; ma sotto le macerie troppa gente ancora soffre, troppi italiani soffrono. Si teme forse che essi possano, come diceva il Presidente del Consiglio, rientrare nella famosa spirale della vendetta. Non è vero: essi l’hanno spezzata, essi vogliono rientrare nel circolo degli affetti familiari, essi vogliono lavorare per l’Italia. Con questo auspicio, o colleghi -che finalmente si possa lavorare per l’Italia in un’atmosfera veramente pacifica e pacificata -il Movimento sociale italiano inizia la sua attività parlamentare, che sempre condurrà da questo punto di vista e con questo preciso intento. Non importa che la nostra pattuglia sia ristretta: è grande il nostro cuore d’ italiani!
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