La vita è come un treno…
La vita è come un treno ma, per poterlo prendere e giungere a destinazione, bisogna essere pronti ad attenderlo in tutte le stazioni, guai se arrivi in ritardo e senza il biglietto regolarmente vidimato. Anche per la politica è la stessa identica cosa. Le possibilità arrivano per tutti, grazie e soprattutto agli errori dei tuoi avversari, ma guai a sbagliare il momento adatto, se non sali con il piede giusto corri il rischio di perdere il treno e ci vogliono anni prima che ne passi un altro.
E’ quello che sta capitando a quei politici che in Italia pensano di rappresentare il popolo di centrodestra. Grazie agli errori ed alla impreparazione di chi ci governa ormai da quasi un decennio, senza essere stato scelto con libere elezioni ma in seguito a manovre di palazzo e di artifizi pilotati in stanze neanche tanto segrete, avevano avuto la possibilità di guadagnarsi la simpatia della maggior parte dei cittadini rimasti allo sbando. Quando sembrava si fosse ormai arrivati alla fine per il governo formato da quell’accozzaglia di Cinque Stelle e sinistre varie, sono arrivati i primi segnali, le prime avvisaglie che qualcosa non stava andando per il verso giusto. Proviamo a vedere che cosa e a chiederci perché ?
Dalla fine della seconda guerra mondiale in poi, nel nostro paese, la destra non è mai stata al potere fino a quando, dopo il crollo dei partiti storici Dc, Psi, Psdi, Pli e Pri, svaniti sotto l’impulso delle inchieste giudiziarie legate al fenomeno “Mani Pulite , non è sceso in campo, attribuendosi il ruolo di paladino delle libertà, l’industriale Silvio Berlusconi che, sicuramente, di economia ( soprattutto nel proprio interesse) ci capiva molto ma di politica ne masticava poco. E’ stato proprio grazie a lui, bisogna comunque riconoscerglielo, se il centrodestra ha raggiunto il potere ed ha ottenuto la possibilità di governare. Con quali risultati , purtroppo, è sotto gli occhi di tutti.
Quando il Movimento sociale italiano aveva, più o meno, il 5 o 6 % dei voti sicuramente eravamo emarginati, non contavamo nelle stanze dei bottoni, non gestivamo i consigli di amministrazione delle società importanti, avevamo addirittura difficoltà a trovare il minimo spazio nei giornali, in televisione eravamo presenti solo ed unicamente nei dibattiti delle Tribune Politiche, i nostri ragazzi venivano aggrediti per impedire loro di parlare, i nostri militanti uccisi, ma una cosa nessuno poteva negarcela o togliercela: il rispetto della gente ed dei nostri avversari, anche di quelli che facevano di tutto per non farci conoscere. E’ stata la prima cosa che abbiamo perso una volta dimostrato che i nostri rappresentanti in Parlamento e nelle istituzioni si comportavano esattamente come gli altri.
Colpa di Berlusconi ? Come molto spesso sento dire nei nostri ambienti? No, colpa di una classe dirigente che non ha saputo reggere alle lusinghe e alle sirene rappresentate dalla possibilità di gestire poltrone e prebende dimenticandosi gli ideali e le scelte rigorose portate avanti per anni e con il sacrificio di tutto quel mondo di militanti e di attivisti che, forse, pensavano non servissero più. E’ stato l’assalto di tutta una serie di rampanti e di provenienti da altre sponde politiche che hanno preso il posto di chi aveva profuso il proprio impegno nelle sezioni. Sia ben chiaro la stessa identica cosa è accaduta anche per altre forze politiche. Non si spiegherebbe altrimenti il sorgere di personaggi come Renzi, Boschi , Orfini, Lotti, Calenda.
Un discorso a parte merita il Movimento Cinque Stelle, un gruppo di guitti creato da una comico. Come altro si potrebbero chiamare i vari Di Maio, Taverna, Crimi, Bonafede, Fico, Azzolina, Di Battista. La loro coerenza è dimostrata dal comportamento tenuto nei confronti del Pd e della promessa ai propri elettori di non fare mai accordi con quello che chiamavano: “il partito dei bambini di Bibbiano”. Governano insieme e sono riusciti ad esprimere un Presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, che, scelto da loro, è praticamente già passato armi e bagagli a sostenere tutte le posizioni imposte da Zingaretti e compagni.
Forza Italia si è letteralmente liquefatta divisa in varie correnti fra berlusconiani e frondisti. Rappresentano ancora qualcosa o qualcuno i vari Tajani, Gelmini, Brunetta, Bergamini, Carfagna. Il candidato scelto da loro per guidare la coalizione in Campania per strappare la regione a De Luca, Stefano Caldoro, non è andato al di là del 17% trascinando verso il basso tutti i partiti di centrodestra.
Non è andata meglio in Puglia a Fratelli d’Italia che hanno fatto dell’ex democristiano Fitto il loro portabandiera con il risultato che una regione, data già vinta al 100 per cento, è rimasta nelle mani dell’ex magistrato Emiliano.
Indifendibile anche la Lega che, scegliendo come candidato la Ceccardi in Toscana, ha praticamente istituzionalizzato la battaglia fra chi dei due candidati principali fosse da considerare il più antifascista dimenticandosi i problemi veri della gente. Il risultato è stato chiarissimo ed è inutile parlare comunque di successo nella rossa Toscana quando la maggior parte dei capoluoghi di provincia sono governati da anni da coalizioni formate da Forza Italia, Lega e Fratelli d’Italia.
La verità è che il risultato negativo delle precedenti esperienze di governo da parte del centrodestra ci ha portato alla situazione attuale, ma non è stata recepita da nessuno. I voti, non più legati ad una stretta militanza quotidiana e ad una diffusione capillare delle proprie proposte culturali, sociali ed economiche, sono estremamente fluttuanti e cambiano direzione con velocità impressionante. Chi è così umile da capire che se fino allo scorso anno il vento soffiava in una certa direzione, tanto da avere successi in tutte le regioni in cui si è votato, da gennaio la situazione è mutata, prova ne sia la vittoria del centrosinistra in Puglia, Campania, Toscana ma anche e soprattutto nei numerosi comuni conquistati al ballottaggio due settimane dopo.
Le ideologie sono morte. E tutti a ballare per la felicità ai loro funerali. Rimane il fatto che, se questo fosse vero, il successo sarebbe solo ed esclusivamente di chi vuole un mondo in cui nessuno debba più credere in qualche cosa, in cui si acquisiscono meriti pagando la partecipazione alle scuole di partito in cui vengono versati emolumenti anche ai docenti. Tanti yuppies d’assalto partono già con l’idea di presentarsi, a vent’anni, alla corsa per una poltrona gestita direttamente dal segretario del partito e non dalla gente che appoggia il candidato per l’esperienza e l’impegno profuso sul territorio. Anche in questo i Cinque Stelle fanno scuola e fanno testo con i disastrosi risultati sotto gli occhi di tutti e con un esempio meraviglioso come quello del sindaco Raggi a Roma.
Il treno può ancora essere preso in corsa, ne sono convinto, solo ed esclusivamente se si torna ad una politica che abbia soprattutto a cuore l’impegno e la coerenza. Quel treno che Almirante prendeva tante volte per andare ad infiammare con la sua oratoria il suo popolo o meglio, come la chiamava lui, la sua famiglia, chi lo stava ad ascoltare entusiasta anche quando non prometteva poltrone, ma sacrifici e difficoltà da affrontare tutti insieme senza che nessuno si tirasse indietro.
Quello stesso treno sul quale per mesi ha vissuto quel galantuomo di Araldo Di Crollalanza quando , dopo il terremoto dell’Italia centrale nel 1929, andava su e giù per la tratta ferroviaria creata appositamente per controllare i lavori di ripristino della case distrutte dal sisma. Sono le uniche case rimaste in piedi quando, 50 anni dopo, avvenne la stessa tragedia in Irpinia. Sarà forse un caso? Andatelo a dire a quegli abitanti di Amatrice, Visso e tutti i paesi distrutti negli anni scorsi ed ai quali Renzi, Conte e Mattarella avevano promesso aiuti e ricostruzione. Non sono state neanche spostate le macerie.
La gente non vuole più essere presa in giro e non importa se a promettere sono politici di destra o di sinistra. Si chiede soltanto un minimo di sincerità, di impegno e di coerenza. Chi riuscirà a dimostrare tutto questo in maniera credibile avrà il sostegno ed il voto.
Roberto Rosseti